Dal 1893, il Pastificio di Strada in Chianti, nel cuore delle colline toscane, produce pasta di generazione in generazione nel rispetto dei valori tradizionali
gustoSano (Vedi il sito»») – 2014 (Qui scaricare l’articolo originale in PDF)
Estratto dell’articolo :
“Sulle colline toscane, in un borgo nel cuore del Chianti, esiste un pastificio che produce pasta artigianale da più di 100 anni, il Pastificio Fabbri.
Le idee e i principi che lo hanno reso unico negli anni – la buona qualità delle materie prime, la passione per il prodotto preparato con semola di ottima qualità ricavata da grani selezionati, l’essicazione a bassa temperatura – sono gli stessi a cui oggi, dopo quattro generazioni, Giovanni Fabbri e i suoi figli si ispirano.
Come sia nata questa tradizione pastaia e cosa si conserva oggi di quei metodi antichi ce lo racconta Giovanni. “La nostra attività di pastai risale all’Ottocento quando i miei antenati si occupavano tutti insieme dell’attività del pastificio. Per un lungo periodo la famiglia ha lavorato unita qui, a Strada in Chianti; aveva forse capito che questo posto, che collega Firenze al Chianti, era un posto adatto per il commercio, anche perché allora i clienti erano collocati a pochi chilometri di distanza da Strada.
Qui il mio bisnonno ha iniziato a fare la pasta con le attrezzature che aveva a disposizione allora: due ruote di marmo, che ho ancora in giardino, un cavallo e uno strettoio. A quell’epoca questo metodo era già considerato industriale. Nel 1911 poi, con l’arrivo dell’energia elettrica, nacque il primo pastificio elettrico, ‘Panificio Molino, negozio e forno alimentare’. Non era più solo Fabbri Giovanni, ma Fabbri Giovanni e figli; uno di questi era mio nonno. E da allora, nonostante il tempo trascorso e il cambio di generazione, il pastificio, che è stato da sempre il filo conduttore che legava padre e figlio, è arrivato a me. Mio padre nel 1999 è venuto a mancare e oggi gestisco l’azienda con i miei figli, la quinta generazione”.
gS: In che modo avete mantenuto quei valori tradizionali della lavorazione della pasta?
“Produciamo la pasta alla vecchia maniera. La lavorazione, cioè, è rimasta quella con le celle statiche, lo stesso metodo utilizzato dagli anni ’50 in poi, quando dopo la Seconda Guerra Mondiale non c’era rimasto più nulla e bisognava partire daccapo. Le celle statiche sono dei piccoli ambienti dove si mettono i carrelli, sia come telai
che come canne, dove viene adagiata la pasta che rimane a seccare piano piano a una temperatura che non supera i 38°. La nostra essicazione va dai tre ai sei giorni. Ma dipende dal tipo di pasta. Mi spiego: se ho uno spaghettone grosso che richiede diciotto minuti di cottura, essendo spesso, mi servono sei giorni per seccarlo. Una pasta più fine invece richiede meno tempo. Inoltre, non superando mai i 38°, questa essicazione è lenta perché naturale: la pasta mantiene integre tutte le sue sostanze, non viene perduto nulla dei suoi valori nutrizionali”.
gS: È un prodotto quindi completamente diverso da quello industriale…
“Certo. Il prodotto industriale è senza pregi né difetti, ma è standard. I metodi che utilizziamo da sempre non sono quelli moderni che prevedono l’essicazione della pasta in sole tre o sei ore. La nostra lavorazione, come dicevo, ha i tempi di essicazione diversi. Le nostre macchine sono le stesse degli anni ’50-’60 e, allora come oggi, il principio è quello di rispettare il grano e la natura. Con la procedura che utilizziamo noi, non viene alterato nulla e la pasta conserva tutti i profumi e i sapori. Se si mangia una pasta artigianale come la nostra il sapore è diverso. In occasione di una festa mi hanno chiamato per complimentarsi perché si sono accorti che la pasta non era la solita: hanno trovato elasticità, assorbimento, sapore. La nostra soddisfazione è che forniamo la Yamaha, Cecchinelli, l’America’s Cup e collaboriamo con l’Università di Firenze e con l’Ospedale infantile Meyer”.
gS: Quali sono le vostre specialità?
“A Firenze c’è una zona, quella di San Lorenzo, costituita da pastai e fornai e c’era anticamente l’usanza, il 10 agosto per la caduta delle stelle, di addobbare le strade del quartiere con strisce di pasta ondulate da un lato. Questa pasta è quella che si chiama “pappardelle di San Lorenzo” ed è una varietà particolare che noi produciamo. Come i nostri spaghettoni, chi li assaggia se ne innamora. Gli “stracci”, che sono una variante delle pappardelle, è una pasta quadrata con riccioli ai lati, eccezionale con la selvaggina”.
gS: Quanti formati di pasta producete?
“Noi circa 30. Ma abbiamo gli stampi per poterne fare 150. Ho conservato tutti gli stampi del nonno e del babbo”.
gS: Oltre 100 formati di pasta?
“Sì, basta pensare che se faccio un tubo posso fare un sedanino, una penna, un paternostro e una campanellina. Di tutti i formati che sono a tubo se ne possono fare 4 tipi diversi. Lo stampo del fusillo permette di fare solo un tipo di pasta, ma ci sono degli stampi che, in base alla grandezza, permettono di farne tipi diversi: come le penne, mezze penne, nocciole, gli occhi di ladro e dei cannoncetti grossi. Ben cinque formati. Se varia il diametro si riesce a fare quattro o cinque formati per ogni stampo”.
gS: Quali sono i fattori che rifluiscono sulla buona riuscita di una pasta artigianale?
“La prima cosa è la scelta delle semole. Mio nonno diceva sempre: ‘Non è tanto la quantità del glutine che conta, ma la qualità’. Non cerchiamo grano con 15-16% di proteine, a noi bastano anche grani del 12% o 11,5% di glutine per avere una pasta ottimale che abbia elasticità, gusto e sapore. Oggi esistono dei grani che rendono moltissimo per ettaro, ma hanno perso in qualità. Il grano va saputo coltivare ed è fondamentale prendere quello che ci dà la natura, senza alterare la produzione”.
gS: Si può dire che produrre pasta sia in qualche modo una forma d’arte. Voi vi definireste “artisti”?
“Mio figlio mi dice che sto sempre a inventare qualcosa, quindi direi di sì. L’ultima idea avuta è la ‘pasta firmata’. Partendo da una vecchia fattura del mio bisnonno del 1906, pure lui ‘Giovanni’, sono riuscito a riprodurre la sua firma sulle lasagne a forno e suoi nastroni”.
Ricetta consigliata
Ragù di lepre
Ingredienti per 4 persone:
3kg di lepre con la pelle
2kg di pomodoro pelato
300g di carote
100g di prezzemolo
600g di sedano
1kg di cipolla
350g di concentrato di pomodoro
1,2l di Olio d'oliva
Aceto q.b.
Vino q.b.
Procedimento:
UNO: La sera precedente alla preparazione, mettete la lepre a marinare in acqua con mezzo bicchiere abbondante di aceto, cipolla e sedano.
DUE: Tagliate la lepre in pezzi regolari e mettetela al fuoco a spurgare, dopo una decina di minuti levate la lepre dal fuoco e gettate l’acqua. Successivamente mettete la lepre a pezzi a rosolare con l’olio. Appena la pelle si stacca dall’osso, toglietela dal fuoco e mettete a cuocere la verdura, passata precedentemente da un tritacarne.
TRE: Nel frattempo disossate la carne e passatela al tritacarne con fori piuttosto grandi. Dopo che la verdura si è rosolata, aggiungeteci la carne e lasciatela insaporire per circa mezz’ora per poi aggiungerci circa mezzo litro di vino. Lasciate evaporare il vino e aggiungeteci il pomodoro e il concentrato e lasciate cuocere tutto fino a che il sugo non si presenta abbastanza denso. Adoperate il sugo il giorno dopo, affinché venga ben amalgamato. Il sugo che ne ricavate è circa 5 Kg e per condire 100 g di pasta ne occorre circa 80/100 g. Si consiglia quindi di surgelare il sugo che avanza in vaschette piccole in modo che all’occorrenza si possa scongelare solo quello che occorre.”
Pp. 112-113